Dieci anni della nostra storia
1942-1952: "L'Azione" di don Giacomini
prefazione di Francesco Traniello
La politica via maestra del rinnovamento
La presente raccolta di articoli pubblicati nel giornale diocesano "L'Azione" durante la direzione di don Girolamo Giacomini, cioè dal marzo 1942 agli inizi del 1952, offre, sotto il profilo storico, molteplici ragioni d'interesse (e di riflessione). Vi si trovano talune conferme e non pochi motivi di sorpresa.
Le conferme riguardano la singolare vitalità del mondo cattolico novarese nel periodo nevralgico tra la guerra e i primi anni di storia repubblicana: una vitalità già, in vari modi e occasioni, rilevata dalla storiografia. Essa ha dovuto prendere atto - senza peraltro offrirne spiegazioni esaustive - che la diocesi novarese fu straordinaria incubatrice sia di un personale ecclesiastico di ottimo livello culturale, spirituale e pastorale, sia di un personale dirigente laico, operante in campo politico, sindacale, associativo, professionale, pervenuto con singolare frequenza a ruoli di rilievo nazionale. I nomi di spicco sono noti, e tra loro c'è quello di un presidente della Repubblica. Anche senza voler attribuire al giornale il significato, probabilmente eccessivo, di specchio della vita diocesana, e facendo il giusto posto alle capacità personali, alla cultura e allo spirito d'iniziativa del direttore e dei suoi collaboratori, è impossibile non collegare le notevoli qualità del settimanale, quali trapelano dai "pezzi" antologizzati, al suo retroterra, in altre parole alla comunità cristiana, e forse non solo cristiana, che costituiva il suo habitat naturale. Da questo punto di vista, la raccolta di articoli invoglia - e non è piccolo merito - a saperne di più, a riprendere in mano, cinquant'anni dopo, le annate originarie, a sfogliarle e a ripercorrerle nella loro completezza, a scoprire o riscoprire com'era veramente fatto questo giornale, qual era il suo aspetto tipografico, persino la sua conformazione fisica, oltre che la sua complessiva fisionomia ideale.
Ma la lettura degli articoli qui ripubblicati offre diverse sorprese per il lettore di oggi e, vorrei dire, anche per lo studioso di storia del travagliatissimo secolo ventesimo. Se mi è consentito usare una formula, che esprime un'impressione personale - sostenuta, se non altro, da una certa consuetudine con fonti storiche di specie analoga -, metterei in primo luogo l'accento sul respiro palingenetico che sembra attraversare gli articoli qui riprodotti. In questo senso il giornale novarese si fa portavoce, certamente, di un clima di mobilitazione delle energie morali che fu proprio di un'epoca storica, e che contraddice le immagini - divulgate da una storiografia poco attenta alle realtà locali e alle aree periferiche, sempre decisive nella storia del nostro Paese - di un'Italia dominata dalla passività, dallo sbandamento e dalla paura dopo la fine del regime fascista. Ma i toni, gli spunti, le argomentazioni, sulla cui base "L'Azione" fu partecipe di un clima siffatto, contribuendo, con i suoi modesti mezzi, ad alimentarlo, appaiono nell'insieme abbastanza eccezionali: tanto più se si considera che il settimanale non era e non poteva essere un giornale di battaglia politica o ideologica, ma era la voce, dotata di crismi ufficiali, di una diocesi.
Ciò che emerge, con maggiore frequenza e intensità, dalla filigrana di questi articoli non è solo un consapevole appello al rinnovamento degli animi, un invito all'impegno (parola chiave di un'intera epoca e di un'intera generazione), che pure c'era, ed era intenso: è anche il disegno, dai rilevanti tratti utopici, di una nuova società o addirittura di un mondo nuovo, in cui lo spirito cristiano era, per dir così, chiamato a svolgere un ruolo sostanzialmente diverso da quello tradizionale, a proiettarsi nella trasformazione radicale di un intero ordine di cose. È abbastanza agevole, per chi abbia qualche pratica di storia del cattolicesimo del tempo, individuare le fonti e gli impulsi che costituivano il substrato di quella cultura cattolica, e che fornivano le categorie analitiche e le formule sintetiche di cui essa si serviva e con cui comunicava; del resto, nei testi pubblicati si trovano in proposito non pochi espliciti riferimenti. Nondimeno la questione travalica, a mio avviso, gli interrogativi, pur legittimi e importanti, concernenti la formazione e i profili culturali degli uomini che hanno conferito quella particolare impronta al giornale. Occorre anche chiedersi perché quegli impulsi hanno trovato spazio e accoglienza in certi contesti e non in altri, e come hanno interagito con la storia di un'area dalla fisionomia oltremodo complessa e variegata per ragioni concernenti la sua struttura territoriale, sociale e religiosa, e sulla quale la lunga dominazione del fascismo aveva lasciato tracce profonde e durature. Da qui, da questo punto di snodo, partivano i collaboratori del settimanale diocesano, cercando di accentuare i fattori di discontinuità con un recente passato, di cui nondimeno sentivano tutto il peso condizionante: una discontinuità proposta sulla base di una generosa volontà di cambiamento e di innovazione, a forte impronta morale e religiosa, ma non senza una certa dose di semplicità, se non di ingenuità intellettuale.
Certo, l'idea che il cristianesimo, come dottrina e pratica di vita, avesse in se stesso la risposta a tutti i pressanti problemi dell'ora, contenesse i principi, le regole e le ricette di un nuovo ordine sociale, economico, politico, che andavano semplicemente applicati e seguiti per produrre l'insorgere di "nuovi cieli e nuove terre" sull'orizzonte di un mondo martoriato dalla guerra e dai conflitti, appare dominante in molti di questi articoli: i cui autori non esitavano a identificarsi con un moto generale di riscatto delle classi popolari, che pareva loro non solo ineluttabile, ma che avvertivano e rappresentavano come coerente con le istanze profonde di un'autentica coscienza cristiana. Ma non per tale aspetto gli articoli raccolti in questo volume si differenziavano da altre voci coeve del mondo cattolico italiano. I tratti più distintivi - non ovviamente nel senso che costituissero un'esclusiva connotazione del piccolo gruppo novarese, ma nel senso che davano alla sua opera un'impronta marcata - riguardano il rilievo nevralgico, in più occasioni evidenziato, attribuito alla politica, agli strumenti e alla partecipazione politica, non solo quale dovere morale dei credenti e di tutti i cittadini, ma come via maestra di un rinnovamento che, per essere autentico, doveva ripercuotersi nelle "strutture", cioè negli assi portanti della vita associata, nelle sue leggi e nei suoi congegni di funzionamento. Il senso della politica come campo di emancipazione da antiche subordinazioni e da radicate ingiustizie, e di applicazione dei fermenti "utopici" a cui si è fatto cenno, riecheggia con intensità non comune in queste pagine tratte da un settimanale non-politico, e contribuisce non poco a farne una testimonianza su cui tornare a riflettere in questi nostri giorni.